La storia continua… nei molti anni di Amsterdam, la crescita di ISE è stata sostanzialmente una linea retta, sia come visitatori, sia come espositori e spazi. Quali decisioni e strategie hanno determinato il successo? Risponde, ancora una volta, il managing director Mike Blackman.
“Abbiamo ascoltato le richieste di espositori e visitatori e abbiamo dato loro ciò che volevano”. Una risposta apparentemente semplice, che sottende una serie di analisi approfondite e puntuali. “All’epoca c’erano diverse fiere (alcune non esistono più), che sembravano più negozi dove trovarsi a chiacchierare che luoghi di business tra aziende e clienti”, aggiunge Mike Blackman. “Noi riuscivamo a portare i professionisti dell’integrazione di sistemi e della filiera dell’AV. Questo rendeva gli espositori felici di partecipare, in quanto avevano la possibilità di incontrare le persone giuste”.
Ciò non significa sentirsi “arrivati”. La domanda, dopo ogni edizione di ISE, è sempre quella: ok, ora cosa dobbiamo fare per mantenere questi livelli? Uno dei punti di forza della manifestazione è sempre stata la capacità di sedersi intorno a un tavolo per parlarne. “Le cose buone, sono state buone perché le abbiamo fatte bene, o se siamo stati solo fortunati? E le cose brutte, sono state brutte perché le abbiamo fatte male e avremmo potuto farle meglio? Questo atteggiamento ci ha aiutato a evolverci anno dopo anno. Abbiamo imparato e migliorato diversi aspetti”, spiega Mike Blackman. Guardando a ogni singolo ISE, si nota infatti questa evoluzione in termini di aziende e di aree tecnologiche.
La strategia delle Technology Zone
Gran parte della gestione di una fiera riguarda, appunto, l’organizzazione delle aree espositive.
“Quando abbiamo iniziato, l’idea era mescolare tutto, per consentire ai visitatori di scoprire anche cose che magari non sta cercando. Facile, quando si hanno 100-200 espositori…”, spiega il managing director. Così, nel 2008 sono nate le Technology Zone, frutto di un attento confronto con gli sponsor. “Le aziende più grandi possono essere collocate ovunque, altre realtà con soluzioni complementari trovano il vantaggio di essere vicine alle big. A loro volta, queste ultime accrescono comunque l’area di azione”. Un secondo aspetto riguardava il target: ISE era diventata troppo grande per essere visitata da tutti in un giorno o in un paio di giorni. Abbiamo lavorato per permettere ai professionisti di concentrarsi in primis sulle cose più importanti, per poi passare al resto. Via via abbiamo perfezionato e corretto il tiro, cercando di offrire sempre il meglio.
“Penso sempre che il nostro rischio principale sia proprio essere lo show numero uno al mondo”, conclude Blackman. “Per rimanere lì, dobbiamo stare sempre sul filo del rasoio e chiederci come mantenere il vantaggio competitivo e, soprattutto, come mantenere la soddisfazione degli espositori e dei visitatori”.
Leggi l’intervista completa di Mike Blackman nella sezione News del sito di ISE.