Si è conclusa la 74ª edizione del Festival del Cinema di Venezia, la prima che ha visto, tra le novità più interessanti, una competizione interamente dedicata alla VR, il Venice Virtual Reality Competition
Ormai da qualche anno il Festival si presenta anche come luogo dove ridiscutere il concetto stesso di cinema, la cui definizione appare sempre meno univoca; se la scorsa edizione ha visto per la prima volta l’inaugurazione di una sala interamente dedicata alla VR, quest’anno la direzione del Festival si è spinta oltre, istituendo un concorso ad hoc e ospitandolo nella location, inedita, dell’isola del Lazzaretto Vecchio, a un passo dal fronte lagunare del Lido. Restaurata per l’occasione, l’isola ha aperto i battenti ai visitatori per sei intense giornate di proiezioni, dal 31 agosto al 5 settembre. Noi di Connessioni c’eravamo.
Oltre al VR Theatre, dotato di postazioni attrezzate con dispositivi Diversion Cinema, sono state allestite, secondo un percorso museale classico, installazioni cosiddette “stand-up”, che hanno usufruito di tecnologie sia Vive che Oculus, segno che la VR si presenta tutt’oggi come un terreno largamente conteso tra i grandi player del mercato (senza contare il relativo successo del visore PlayStation VR, dedicato principalmente al mondo del gaming). I film selezionati sono stati diciotto, due dei quali finanziati dalla Biennale College Cinema.
La rassegna ha rappresentato infatti un punto d’incontro di grande interesse anche dal punto di vista produttivo, esito di un lungo lavoro avviato all’inizio del 2017 con l’istituzione del primo Biennale College Cinema – Virtual Reality, workshop nato con lo scopo di formare e di sviluppare nove progetti di realtà virtuale, con particolare attenzione ad aspetti quale l’individuazione dei target di mercato e dei canali di distribuzione adeguati. Due tra i nove progetti selezionati, finanziati grazie al supporto di Europa Creativa, del Netherlands Film Fund e del TorinoFilmLab, sono entrati nella competizione finale, mentre gli altri sette sono stati presentati nell’ambito del Venice Production Bridge, insieme ad altri otto progetti esterni.
Gli organizzatori si sono dimostrati entusiasti nei confronti tale esperienza, assolutamente pionieristica in Italia: come ha dichiarato Alberto Barbera, direttore della Mostra, “siamo rimasti basiti dal numero di opere arrivate: chi si ferma sugli aspetti tattili, chi sulle storie, o sulla sperimentazione del mezzo. Il virtuale conferma che il cinema è esploso”. Le premesse, quindi, sembrano essere confermate: la VR non si sostituirà al cinema, ma correrà al suo fianco. Ad essere premiati, nella cerimonia del 9 settembre al Palabiennale, sono Arden’s Wake di Eugene YK Chung, La camera insabbiata di Laurie Anderson e Hsin-Chien Huang e Bloodless di Gina Kim. Decisamennte d’impatto, tra le opere presentate, le installazioni The Last Goodbye, simulazione della prigionia nei campi di concentramento finanziata dalla USC Shoah Foundation e firmata da Gabo Arora e Ari Palitz, e Greenland Melting di Catherine Upin e Julia Cort, efficace documentario interattivo sullo scioglimento dei ghiacciai in Groenlandia e sui potenziali rischi per l’equilibrio globale. Da segnalare, infine, il primo film in VR del regista di culto Tsai-Ming Liang Jia zài lánre sì (The Deserted), per il quale sono sbarcati sull’isola appassionati di tecnologia, ma anche e soprattutto di cinema, e la cosa non può che farci piacere. Restano, certo, i problemi che caratterizzano tutta la scena VR, anche in quelle produzioni che, come in quest’ultimo caso, impiegano strumenti di ripresa di ultima generazione (la camera Jaunt One 360 gradi): bassa risoluzione in uscita, bassa gamma dinamica, sensibili variazioni di colore, etc. Eppure, le premesse per un miglioramento ci sono tutte; o almeno, questa è l’aria che si è respirata in questi giorni.
Per maggiori informazioni: http://www.labiennale.org/it/cinema/2017/venice-vr