Video, schermi, proiezioni, videowall, ledwalll, mapping: la 57ª Biennale d’Arte di Venezia, serie di esposizioni che dal 13 maggio al 26 novembre 2017 coinvolgono il territorio del capoluogo veneto, ci mostra un intreccio sempre maggiore tra forme espressive contemporanee e tecnologie digitali. Se da un lato sembra di poter registrare una sorta di ritorno al passato, con l’uso forse ancor più frequente a medium tradizionali quali la pittura e la scultura, dall’altro sempre più artisti sembrano fare ricorso a tecnologie AV, talvolta all’interno di strategie multimediali complesse. Tali strategie possono innescare un dialogo con l’ambiente circostante (è il fenomeno, sempre maggiore, delle installazioni site specific), o venire integrate in sistemi immersivi e partecipativi più vasti, al punto talvolta da stimolare a una messa in discussione dello stesso concetto di arte.
È il caso, per citare uno dei progetti più significativi in questo senso, di Green Light, progetto ideato dal light artist danese Olafur Eliasson in collaborazione con il Thyssen-Bornemisa Art Contemporary di Vienna e con il brand italiano di arredo e design Moroso. L’iniziativa, sotto forma di worhshop che si estende per tutta la durata della manifestazione, coinvolge ottanta tra rifugiati e richiedenti asilo, i quali sono chiamati a collaborare con il pubblico nella realizzazione di lampade modulari secondo un modello precedentemente fornito dall’artista. Fatti di materiali riciclati ed ecosotenibili, i moduli Green Light funzionano sia in autonomia che in strutture complesse, e la loro produzione è parte di una campagna di fundrasing avviata da due ONG che lavorano con i rifugiati (Emergency e Georg Danzer Haus).
Va nel senso di un incontro tra arte e tecnologia anche l’Iniziativa del Nexus Pavillon, simposio internazionale che si è tenuto nella quartier generale della Biennale, a Ca’ Giustinian, il 2 e 3 febbraio, e che ha coinvolto artisti, musicisti, curatori ed esponenti del mondo della ricerca. Tra le opere più degne di nota, da questo punto di vista, segnaliamo The Tyranny of Consciousness dello statunitense Charles Atlas, videoinstallazione a cinque canali in cui alle immagini di dodici tramonti si affiancano quelle di due sinistri countdown; Pursuit of Venus [infected] della neozelandese Lisa Reihana, rievocazione della morte di James Cook nelle isole Hawaii attraverso l’andamento ciclico di uno spazio multidimensionale proiettato sulla parete attraverso un rig di cinque proiettori in sincrono. Tutto sull’integrazione di ambienti, in questo caso molto distanti tra loro (Venezia e Giakarta) è anche il progetto il progetto 1001 Martian Homes, di Tintin Wulia. Attraverso un’installazione di videocamere e videoproiettori connessi in tempo reale attraverso Internet, il visitatore è chiamato a sbirciare nell’occhiello di una porta, e la registrazione video del suo occhio sarà inserito in un database ed esibito via software, in maniera casuale, in un museo di arte contemporanea della capitale indonesiana (e viceversa).
In maniera più radicale, Peter Miller nel suo Stained Glass allestisce in una stanza una proiezione di una pellicola in 8mm resa “invisibile” dall’assenza della lente aberrante, proiettando sullo schermo e rendendo visibile solo il tremolio della lampada di proiezione. Ballons on the Sea del turco Hale Tenger è un’altra evocativa videoinstallazione a sette canali interamente basata sulla resa vivida dei colori, come turca è anche l’installazione smart di trentacinque altoparlanti che compone il progetto Çın a opera di Cevdet Erek, un “sound-ornamented inner façade and platform”, sorta di paesaggio sonoro variabile di suoni e sussurri che si attivano al passaggio del visitatore, in una riflessione sul carattere soggettivo ed effimero dell’ascolto.
Segnaliamo infine la presenza, nell’area Nord dell’Arsenale, del neonato HyperPavillon, padiglione dedicato a tecnologie digitali e nuovi media, presentato da Fabulous e curato da Philippe Riss-Schmidt, con lo scopo di sovrapporre e mettere in corto circuito le coscienze umane e digitali attraverso concetti quali quelli di identità grafica e realtà aumentata. Di particolare impatto Climat Géneral di Claire Malrieux, serie di disegni “dinamic generative” proiettati su una superficie circolare di 360°, del diametro di quattordici metri, quasi una sorta di Nymhéas newmediale.
L’impressione finale, in definitiva, è di una commistione sempre maggiore tra espressione artistica e segnale digitale, purtroppo non sempre sfruttata secondo le reali potenzialità, e spesso prediletta per mere esigenze di trasportabilità delle opere. Se la convergenza tra arte e tecnologie informatiche, a livello di dispositivi di creazione e riproduzione, è ormai spesso ineludibile, non altrettanto lo è quella tra artisti e ingegneri, per la quale la strada da percorrere sembra essere ancora molta; non mancano, tuttavia, segnali che fanno ben sperare.
Link al sito della Biennale: http://www.labiennale.org/it/arte
Link al progetto Green Light: http://olafureliasson.net/greenlight/