La 76a Mostra del Cinema di Venezia è al suo culmine, e tra articoli sulle mise delle celebrity e il Leone d’Oro alla carriera per Julie Andrews (Mary Poppins unica e sola), non mancano le notizie anche per il nostro settore.
Venice Virtual Reality (prima edizione nel 2017), rappresenta la prima competizione di film in Realtà Virtuale in un festival cinematografico internazionale, in scena al Lazzaretto Vecchio; oltre ai film del Concorso, ai progetti VR di Biennale College e alla sezione Best Of, 12 progetti VR in cerca di finanziamento saranno presentati nell’ambito del Venice Production Bridge. Sono previste tre modalità di visione: da seduti con il visore nel VR Theatre; visione “stand up” (in modalità interattiva e lineare); installazioni tridimensionali con diversi gradi d’interazione. I contenuti spaziano da cortometraggi di pochi minuti a “pellicole” che arrivano all’ora e più, con svariate tecniche: dalla produzione in totale computer grafica, a quella mista, per arrivare alle opere con attori in carne e ossa, dove gli strumenti dell’interattività servono agli spettatori per ottenere un altro punto di vista, come un differente livello di visione, ma anche di partecipare attivamente alla vita dei personaggi.
Per i registi di VR, è aperto il concorso Biennale College Cinema – Virtual Reality 4 | International, che vuole individuare 10 progetti di realtà virtuale, della durata massima di 30 minuti, da produrre con un budget di € 60.000, da presentare alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia nel 2020. È fondamentale che i progetti iscritti siano realizzati esclusivamente attraverso l’utilizzo della tecnologia VR e che rappresentino le potenzialità che questo formato audiovisivo può offrire.
A Venezia si sta parlando anche di come cambiano le tecniche e tecnologie di ripresa; Claude Lelouch ha presentato Les plus belles années d’une vie: a 80 anni ha trovato una nuova giovinezza artistica girando il suo lavoro solo con un iPhone. “La tecnologia è meno importante delle emozioni — ha dichiarato — se avessi avuto l’iPhone negli anni ‘60 l’avrei usato. Non rifiuto le telecamere tradizionali, ma per ogni tipologia di produzione bisognerà decidere quale sia lo strumento migliore”. Steven Soderberg sta invece girando High Flying Birds, dall’8 febbraio su Netflix, con un iPhone, e se ne dice più che soddisfatto.
I motivi di questi esperimenti? Non il rifiuto di una telecamera tradizionale, ma quello che uno smartphone offre di diverso: immediatezza, capacità di diventare invisibile sul set, velocità di ripresa e maggiore leggerezza delle attrezzature, e la possibilità di seguire gli attori direttamente, senza schermi che riproducano cosa la telecamera sta riprendendo. Ovviamente uno smartphone offre zoom e grandangoli limitati, non avendo un obiettivo esterno, e non ha la possibilità di gestire la luminosità come una telecamera… ma per questo sta già prendendo piede una vera poetica cinematografica con lo Smartphone che, immaginiamo, diventerà un’alternativa alla telecamera senza sovrapporsi ad essa. Potete leggere di più QUI.
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