Molto rumore per nulla, o per troppo? Non possiamo negare che, in questo assurdo 2020, siamo stati digitalmente bombardati di informazioni, e spesso ce ne siamo lamentati. Voci, mail, notifiche push, messaggi: quando un segnale non ci interessa, ci infastidisce, diventa rumore e affatica le nostre capacità analitiche. Ma a quanto pare, l’intelligenza artificiale può aiutarci a ritrovare un ritmo di vita più naturale.
Lo racconta in un recente articolo Andrea Tangredi, co-founder e chief designer officer di Indigo.ai, che identifica due tipi di information overload: quello condizionale, quando dobbiamo trovare la risposta giusta in un oceano di informazioni non rilevanti (ma ci facciamo aiutare dai motori di ricerca) e quello ambientale – più problematico – che si crea quando siamo circondati da quantità di dati tutti rilevanti. “Le abbiamo scelte, sono cose che ci piacciono, ma sono talmente tante che facciamo fatica a elaborarle tutte – scrive Tangredi -. Continuiamo a cliccare, scrollare, ricaricare pagine, aprire nuove tab nei browser, aggiungere ai preferiti o alla lista di cose da fare dopo, a controllare le e-mail e le raccomandazioni di Netflix o di Amazon”. Insomma, una sorta di “fame isterica” che ci fa vivere iperconnessi ma anche iperconfusi e, a lungo andare, alienati dal mondo che ci circonda.
L’antidoto potrebbe chiamarsi intelligenza artificiale conversazionale, che prende spunto proprio dal linguaggio e dalle sue caratteristiche di lentezza, gradualità, sincronia e pazienza per offrire suggerimenti e informazioni a misura di ogni singola persona. Tradotto, non è troppo tardi per realizzare tecnologie che prediligano calma, qualità e benessere. Ma il cambiamento deve arrivare direttamente dalle società che concepiscono gli strumenti che usiamo ogni giorno.
Sarà lecito sperare in un futuro di tecnologie “adattive”, che rispettino i tempi e i processi della mente umana?