Connettività, semplificazione e analisi dei dati sono i principali fattori di sviluppo della smart home, che in Italia vale più di mezzo miliardo di euro, secondo l’ultimo report del Politecnico di Milano. Un grande potenziale da valorizzare con prodotti e servizi innovativi, per creare opportunità professionali e accrescere la cultura digitale dei cittadini.
È stato un 2020 sulle “montagne russe” per il mercato delle soluzioni Internet of Things (IoT) per la casa intelligente. La pandemia, infatti, non ha permesso a questo settore di confermare il trend di crescita degli scorsi anni (+52% nel 2018, +40% nel 2019), ma il mercato ha complessivamente tenuto, facendo registrare nel 2020 solo una lieve flessione (-5%) e assestandosi a quota 505 milioni di euro.
I dati dell’ultimo report degli Osservatori.net del Politecnico di Milano, presentati durante il convegno online “Stay at home, stay in a Smart Home: la casa intelligente alla prova del Covid”, confermano anzi il ruolo chiave della digitalizzazione nei periodi più critici dello scorso anno. Giulio Salvadori, Direttore dell’Osservatorio Internet of Things, ha parlato infatti di buoni risultati, considerando il contesto in cui le aziende hanno dovuto operare, quasi “insperato” a inizio anno. Tra marzo e maggio, durante il primo lockdown, le vendite sono infatti letteralmente crollate: una perdita che in molti casi oscilla tra il -60% e il -100% rispetto allo stesso trimestre del 2019. Meglio gli altri mesi dell’anno, con buoni tassi di crescita tra settembre e novembre 2020.
Tecnologie per cambiare stile di vita
Al di là dell’impatto sulle vendite, l’emergenza ha portato le persone a modificare non poco il rapporto con la propria abitazione. Ciò ha favorito in primo luogo l’utilizzo di alcune tipologie di oggetti smart in casa (smart speaker e piccoli elettrodomestici), con il 67% dei consumatori che dichiara di utilizzare “spesso” le soluzioni acquistate. Inoltre, si sono riscoperte nuove abitudini, come la passione per la cucina e il desiderio di rinnovare la propria casa. Il 46% degli intervistati, infatti, sta già facendo o ha in mente di fare interventi sulla propria abitazione. Questo genera importanti ricadute sull’acquisto di oggetti smart, funzionali al nuovo modo di abitare e vivere (purificatori d’aria, impianti audio, soluzione per videoconferencing, ecc.), e sul lavoro dei professionisti del settore.
In aggiunta, la pandemia ha accresciuto la cultura digitale degli utenti: sempre più persone che navigano sul web e svolgono operazioni online. Un esempio? Da marzo 2020, il 25% degli italiani ha eseguito più operazioni nell’online banking, mentre il 34% ha ordinato la spesa online per la prima volta o più di prima. La pandemia sta quindi progressivamente trasformando le abitudini di acquisto dei consumatori e, più in ampio, il loro rapporto con il digitale.
I “preferiti” della smart home
Se lo stare molto tempo in casa ha favorito le vendite di alcune soluzioni smart, ciò non vale per la sicurezza, che mantiene il primato (21% del mercato, circa 105 milioni di euro), ma registra una significativa battuta d’arresto (-30% nel 2020). E questa tendenza è confermata anche dal consumatore: la sicurezza è ancora al primo posto tra le motivazioni d’acquisto di oggetti smart, ma in calo rispetto al 2019 (27% vs 36%).
Gli smart speaker raggiungono al primo posto le soluzioni per la sicurezza con 105 milioni di euro (21% del mercato, +10%). Il 2020 è stato per queste aziende un anno importante, in termini di nuove partnership, aggiunta di skill e consolidamento del mercato. Le performance hanno riguardato in particolare i nuovi dispositivi dotati di display. Rimane tuttavia molto da fare per abilitare una vera e propria integrazione con la smart home: in Italia solo il 14% dei possessori di smart speaker utilizza questi dispositivi per gestire altri oggetti in casa.
A breve distanza gli elettrodomestici con 100 milioni di euro (20%, +17%). Questo perché ormai numerosi produttori offrono l’intera gamma “connessa”, ma insieme alle vendite cresce anche l’effettivo utilizzo delle funzionalità smart. Il 59% di chi possiede oggetti connessi li ha usati (+19% rispetto al 2019). Seguono – in termini di incidenza sulle vendite – le caldaie, i termostati e i condizionatori connessi per la gestione del riscaldamento e della climatizzazione con 75 milioni di euro (15%, +15% rispetto al 2019). Qui, naturalmente, entrano in gioco Superbonus ed Ecobonus, oltre alla maggiore consapevolezza dei risparmi ottenibili in termini di consumo energetico e comfort.
Alla ricerca dello standard
Dal punto di vista tecnologico, nel 2020 i principali consorzi per l’interoperabilità della Smart Home hanno dato una spinta importante verso la standardizzazione delle tecnologie di integrazione, con lo sviluppo di specifiche e programmi di certificazione dedicati all’interoperabilità.
Continuano gli sforzi del gruppo di lavoro congiunto Connected Home over IP (CHIP) sulla definizione delle specifiche dell’omonimo framework open-source. Il consorzio – guidato dalla ZigBee Alliance e sostenuto anche da Amazon, Apple e Google – ha avviato ufficialmente i lavori a gennaio 2020, pubblicando il codice sorgente delle prime implementazioni di riferimento per i dispositivi connessi e aprendo ai contributi delle comunità di sviluppatori in ottica open-source. Se l’iniziativa CHIP, mira ad abilitare l’interoperabilità attraverso un’integrazione a livello di campo, l’Open Connectivity Foundation (OCF) punta invece sulla standardizzazione della comunicazione tra i cloud dei produttori di dispositivi. Il consorzio – guidato da Electrolux, LG, Qualcomm e Samsung – ha introdotto la nuova implementazione di riferimento per l’integrazione cloud-to-cloud e il programma di certificazione Unified Cloud Interface (UCI).
Guardando al futuro – e non si tratta certo di una novità – tutte le tendenze analizzate dall’osservatorio evidenziano il ruolo dell’Intelligenza Artificiale (AI) come tassello sempre più importante dell’ecosistema delle case intelligenti.